mercoledì 4 settembre 2013

THEY ARE GOLDEN


Gli unici che lo scorso anno sono riusciti a mettere sotto scacco gli Spurs, prima delle Finals perse in 7 battaglie contro i fenomenali Heat di LeBron, e a farli seriamente tentennare nel loro cammino verso il titolo sono stati la squadra che non ti aspetti. Quella squadra che comincia la regular season in maniera straordinaria, restando per molti mesi tra le primissime, e poi rischia di buttare tutto al vento in un finale di stagione al cardiopalma, chiudendo al sesto posto. Quella squadra che, pur dominando in termini di gioco e di prestazioni in maniera netta ed incontrovertibile contro i Nuggets al primo turno di playoffs, chiude la serie in gara 6 facendo tremare il proprio pubblico nell’ultimo periodo dopo un terzo quarto al limite della perfezione. Quella squadra che unisce qualità e talento a inesperienza e scelleratezza, giocate straordinarie e prestazioni incredibili a una difesa troppo ballerina e momenti di blackout totale. Quella squadra sono i Golden State Warriors.

Se la presenza di tanti giovani di assoluto valore nel roster è stata la croce e delizia della passata stagione a San Francisco, quest’anno Bob Myers e gli altri addetti ai lavori hanno cercato di puntare sull’esperienza nel mercato estivo per puntellare le mancanze del team. Da Phoenix è arrivato Jermaine O’Neal, uomo spogliatoio che da 17 anni fa parte del mondo NBA, dai Cavs Marreesse Speights, buon ala grande-centro da inserire nelle rotazioni di coach Mark Jackson, ma soprattutto dai Nuggets è giunto chi, con tutta probabilità, farà fare il salto di qualità alla compagine californiana: Andre Iguodala.

Non è incredibile soltanto l’acquisizione di un giocatore dal talento assoluto come il prodotto di Arizona, quanto più il modus operandi per portarlo in California. Già promesso ai Mavs, che gli avevano offerto un contratto più che oneroso, Iggy ha deciso invece di firmare per Golden State, ma solo a seguito delle cessioni dell’ultimo minuto di Andris Biedrins, Richard Jefferson e Brandon Rush (24 milioni di risparmio sul salary cap Warriors) ai Jazz. Un importante contratto, da 12 milioni annui per 4 stagioni, unito alla consapevolezza di Iguodala di essere il completamento perfetto per il team, lo ha portato a scegliere di diventare un nuovo idolo del pubblico dell’Oracle Center. Il motivo per cui i Warriors non avrebbero potuto scegliere di meglio non è tanto il ruolo, visto che, ai posti 2 e 3, Thompson e Barnes non hanno affatto sfigurato la stagione scorsa, quanto la straordinaria capacità dell’ex Nuggets di difendere alla grande. Le sue enormi potenzialità sull’altro lato del campo, unite a un gioco di penetra e scarica perfetto, ne fanno l’innesto ideale in una squadra dotata di tante soluzioni offensive di livello.



Fondamentale sarà poi recuperare a pieno regime le prestazioni di Andrew Bogut e David Lee. Il centro australiano, prima scelta del 2005, ha fatto capire la sua importanza nella gara decisiva contro Denver sopra citata, in cui ha messo a segno 14 punti, raccolto 21 rimbalzi e dominato la scena sotto canestro. Se si riprenderà a pieno dai problemi fisici che lo hanno colpito diventerà un’arma fondamentale per i successi dei Warriors, sia in termini di rimbalzi e di stoppate che di esperienza e peso specifico. Lee è invece uno dei giocatori più sottovalutati della Lega, ma che apporta sempre un contributo straordinario al proprio team. Oltre a essersi guadagnato un posto come riserva nell’ultimo All Star Game, ha chiuso al primo posto come doppie-doppie lo scorso anno con 56 e ha terminato le ultime 5 stagioni sempre sopra i 15 punti e 9 rimbalzi di media, diventando un fattore a Golden State. Solo un infortunio all’anca l’ha messo fuori gioco nei playoffs, ma è atteso alla stagione della possibile consacrazione definitiva.

Due delle sorprese dello scorso anno sono stati i giovani terribili Klay Thompson e Harrison Barnes. La guardia al terzo anno da Washington State ha alzato in maniera esponenziale il suo minutaggio e le sue statistiche, tirando quasi il doppio rispetto al suo anno da rookie e mantenendosi comunque oltre il 40% da 3 punti. Alla sua prima apparizione ai playoffs non ha tentennato, anzi contro San Antonio ha espresso il suo miglior basket, oltre i 15 punti e 5 rimbalzi di media, ma soprattutto tirando con un fantasmagorico 54% coi piedi dietro l’arco. Allo stesso modo Barnes si è reso protagonista di una post-season invidiabile, soprattutto in semifinale di Conference, dove con 17 punti e 7 rimbalzi di media ha quasi raddoppiato le medie di una regular season comunque giocata a buon livello e caratterizzata anche da numeri e schiacciate (se non avete mai visto quella in testa a Pekovic aprite subito You Tube!) da campione. Entrambi hanno ancora bisogno di crescere e di entrare a pieno ritmo negli schemi di coach Jackson, ma hanno le potenzialità per diventare dei grandissimi giocatori e condurre la squadra di San Francisco a ottimi traguardi.



Il vero fenomeno in casa Warriors è però l’uomo che ha trasformato questa squadra da una mediocre e di bassa classifica in una cenerentola con sogni di gloria: Steph Curry. Inutile ricordare la prestazione da 54 punti al Madison Square Garden o le 272 triple segnate in 82 partite, record assoluto in una regular season o altre statistiche (se volete saperne di più leggete qui!). Ciò che ha sorpreso più di tutto è stato il suo essere diventato un leader, l’uomo squadra che si assume la responsabilità del tiro quando pesa di più e il più delle volte lo mette a segno, il giocatore in grado di rovesciare una partita a suo favore o di spaccarne un’altra con una serie di canestri incredibili. Se poi andiamo ad analizzare i dati, con quasi 23 punti e 7 assist di media, uniti al 90% dalla lunetta e al 45% da fuori (272/600!), tutti migliorati, tranne quest’ultimo, nei playoffs, scopriamo quanto abbiano inciso le sue prestazioni nell’annata di Golden State. Ora che al suo fianco c’è un altro grandissimo come Iguodala e la società non ha fatto cessioni eccellenti, le pressioni saranno un po’ meno sulle spalle di Steph e ci si aspetta la sua conferma su questi livelli per celebrarlo a tutti gli effetti come uno dei più forti giocatori della Lega.

Chi dovrà farsi le ossa alle spalle di Curry è la scelta numero 30 dell’ultimo Draft, unica di Golden State nei piani alti, Nemanja Nedovic, arrivato dal Lietuvos Rytas. Già pronto fisicamente e atleticamente, ma ancora sotto la media a livello di precisione e tecnica di tiro, il serbo non è ancora pronto per essere decisivo in NBA, ma può allenarsi con tutta calma e tranquillità dietro al fenomeno Steph, anche se, con la cessione di Jarrett Jack ai Cavs, ci si aspetta subito qualcosa da lui.

Se coach Mark Jackson riuscirà ad unire al meglio questo mix infuocato di giovani stelle e veterani di lusso, ecco che Golden State potrà arrivare davvero lontano. Se l’anno scorso poteva sembrare un fuoco di paglia, sono pronto a scommettere che quest’anno i californiani si confermeranno ad altissimi livelli e potranno anche ambire a traguardi anche migliori. Quel che è sicuro è che il divertimento non mancherà all’Oracle Arena e San Francisco riprenderà a conoscere il grande basket nella sua città.

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