mercoledì 26 febbraio 2014

TOP & WORST NBA - EPISODE 16 (18/02 - 24/02)

Best of the East

Best Team: Charlotte Bobcats


I Bobcats non sono intenzionati a mollare il loro posto nei playoff, per nessun motivo. Quattro vittorie consecutive, sei nelle nove partite giocate nel mese di febbraio, e un passo deciso in avanti ad allontanare le mira di rimonta di Pistons e Knicks su tutte. Proprio Detroit è stata due volte vittima, per altro con passivi di 12 e 18 punti, della striscia positiva di Charlotte, che si è anche presa il settimo posto di Conference ai danni degli Hawks, anche se con con una percentuale di vittorie pressoché identica (0.474 a 0.473). Sono arrivati inoltre due successi, questa volta di misura, contro Pelicans e Grizzlies, a dimostrazione che quest’anno per la corsa alla post-season ci sono anche loro. Al Jefferson (20.5 punti e 10.4 rimbalzi a partita) si sta meritando il notevole sforzo economico fatto in estate dalla franchigia, mentre Kemba Walker e Gerald Henderson sono gli unici altri due in doppia cifra come media punti di una squadra però in grado di girare efficacemente attorno al proprio leader. E, soprattutto, in grado di vincere.

Best Player: LeBron James

Le sempre più frequenti voci di un Kevin Durant miglior giocatore, almeno quest’anno, della Lega devono aver dato molto fastidio al Prescelto. Dopo la peggior prestazione stagionale, coincisa con la pessima sconfitta contro i Jazz, sono arrivate prestazioni eccezionali nelle successive quattro partite, tutte vinte, contro Suns, Warriors, Mavericks e Thunder, non proprio bruscolini per usare un eufemismo. LeBron, durante questa striscia vincente, ha messo a segno 37 punti di media, raccogliendo 8.25 rimbalzi, smazzando 5.25 assist e con oltre 3 rubate a partita. Miami ha raggiunto le cinque vittorie consecutive contro i Bulls, partita saltata da James per la rottura del naso, ed ora è tornata in piena corsa per la leadership di Conference (40-15), a 1.5 partite di differenza dai Pacers. Con 26.9 punti, 7.1 rimbalzi e 6.5 assist di media finora, il PIE di LeBron si è alzato al 20%, secondo giocatore in NBA oltre questa soglia. Indovinate dietro a chi? Si, esatto, proprio KD. Le mira di onnipotenza di LeBron avranno in lui anche un degno rivale per il titolo? Si vedrà.

Best of the West

Best Team: Houston Rockets

Un mese di febbraio straordinario finora per i Rockets. Otto partite giocate e sette vittorie, nove nelle ultime dieci giocate, fermati solo dai Warriors nella loro striscia vincente. A cavallo dell’All Star Game, dopo aver demolito i T-Wolves ecco la vittoria di misura sui Wizards, il nettissimo successo contro i Lakers col dente avvelenato per il ritorno di Howard a Los Angeles (ma mai in partita, -26 al termine), la sconfitta contro Golden State e la nuova affermazione di misura sui Suns. Houston, complice il momento a corrente alternata di Clippers e Blazers, si è issata fino al terzo posto di Conference (38-18) e mette nel mirino le migliori. Ad Ovest, si sa, non si può mai dare nulla per scontato, soprattutto nella corsa ai playoff, ma un eccezionale record casalingo (22-7) e lo stato di forma del fattore H-H, guide di una squadra dal talento immenso, possono far ben sperare. Houston abbiamo un problema? Forse no.

Best Player: David Lee


Da sempre uno dei giocatori più sottovalutati della Lega, Lee non ha mai deluso le aspettative. Se Golden State, dopo essere pericolosamente scivolata nelle zone calde per i playoff ad Ovest, è tornata al sesto posto (34-22), pur vicinissima alle inseguitrici, è anche grazie alle prestazioni della sua ala grande. Dalla sconfitta contro i Bobcats sono arrivate quattro vittorie in cinque partite (nell’ultima Lee era assente) contro Sixers, Kings, Nets e soprattutto contro i Rockets, in forma smagliante nelle ultime partite e fermati solo dai Warriors. La sconfitta è arrivata solo al cospetto dei bi-campioni in carica. 21.3 punti, sempre sopra al 50% al tiro, e 12.3 rimbalzi sono state le statistiche di Lee nelle ultime quattro partite giocate, vero trascinatore dei suoi insieme al sempre fenomenale Steph Curry. A un passo dal 20+10 di media assoluta (19.1 punti e 9.9 rimbalzi), il buon David deve continuare a lottare per arrivare con Golden State alla post-season nella miglior posizione possibile. E poi giocarsi il tutto per tutto.

Best of the Rest

BIG, BIG RAPTORS: Toronto quest’anno non scherza e approfitta della giungla degli orrori vista finora ad Est per prendersi di forza il terzo posto assoluto, dietro le favorite Heat e Pacers. Un ottimo record complessivo (31-25), ancor migliore contro le avversarie di Conference (21-13), maestoso contro le pessime contender di Division (8-2) e per i Raptors quest’anno c’è davvero poco da rimproverarsi. Serve ancora un ultimo sforzo per confermarsi così in alto. E poi, chissà, spiccare il volo.


HIBBERT DEFENDING STRONG: quest’anno sembra proprio che per il premio di miglior difensore dell’anno ci sia Hibbert davanti a tutti. Un defensive rating pauroso (soli 93.5 punti subiti con lui sul parquet), 2.5 stoppate a partita, secondo dietro un grande Anthony Davis, e lo strano quanto positivo dato di aver concesso solo 4.1 field goal made vicino al ferro su 9.9 tentati, per un 41.1% che è il miglior risultato nella Lega per chi ha giocato almeno 25 partite quest’anno. Chapeau.


Worst of the East

Worst Team: New York Knicks

Ci risiamo. Se gennaio (10-6) aveva dato qualche minimo segnale di risveglio e fatto auspicare ad una rimonta sul treno per i playoff, ecco che febbraio (2-8 finora) ha fatto ripiombare i Knicks nel baratro. Ciò che più sorprende è come, incredibilmente, New York possa perdere tre di queste partite contro Bucks, Kings e Magic, il cui record sommato (47-122) dovrebbe spaventare, ma solo in negativo. Ed ora, i “beniamini” della Grande Mela, rischiano per davvero di veder sfumare una post-season che sembrava il traguardo minimo ad inizio stagione. Lo score fatto registrare ad oggi (21-35), se ad Ovest li metterebbe al quart’ultimo posto, sicuri di non centrare i playoff, ad Est per lo meno li pone lontani 5.5 partite dagli Hawks, ottavi al momento ed in crisi di risultati. Il problema è che mancano solamente 26 partite prima che la stagione dei Knicks si possa definire conclusa (per fortuna loro, forse). Quanto vogliono aspettare ancora?

Worst Player: Paul Millsap

Fuori nell’ultima partita contro i Knicks, Millsap si è perso la seconda vittoria dei suoi in un tragico mese di febbraio (2-8), che li ha portati all’ottavo posto ad Est (26-29), insidiati dalle immediate inseguitrici, dopo che sin qui Atlanta era sempre stata a cavallo tra il terzo e il quarto posto. L’ala ex Jazz non sta giocando male, però dopo essere stato convocato per l’All Star Game per la prima volta in carriera ed essere diventato, almeno ad inizio stagione, il leader assoluto di un team senza molte pretese quest’anno, ci si aspettava ben altro ultimamente. Pur con poco più di 20 punti a partita, Millsap, nella striscia negativa che per lui non è ancora finita, ha tirato male (40%, mai oltre il 50% in una singola partita), raccogliendo un numero considerevole di rimbalzi, ma senza mai riuscire a dare quella marcia in più al suo team come ad inizio stagione. Se poi sei di queste otto partite sono state perse con 5 o più punti di scarto, qualcosa proprio non va. E i playoff sono a rischio.

Worst of the West

Worst Team: Denver Nuggets


Denver dice addio ai playoff. Lo score di 25-30, che allunga il suo ritardo dai Mavs ottavi ad Ovest a ben 8 partite, mette virtualmente la parola fine sulla stagione dei Nuggets, esclusi dalla post-season dopo la splendida stagione vissuta l’anno scorso. Con una sola vittoria nelle ultime otto partite giocate, per altro al cospetto dei Bucks, il peggior team della Lega, la squadra di Mile High City si è auto-condannata a una posizione in graduatoria ben lontana dalle protagoniste. La recente sconfitta di 14 punti subita al Pepsi Center, abituato nella scorsa annata a ben altri risultati, dai Kings, che ha seguito a breve raggio il -28 subito dai Bulls a Chicago, esprime al meglio come la stagione dei Nuggets sia passata dal deludente al fallimentare in breve tempo. Colpa delle sconfitte in casa, già 13 contro le sole 3 complessive della scorsa regular season, e di un record in trasferta non all’altezza delle aspettative (11-17). Rimandati, senza appello, al prossimo anno.

Worst Player: Wesley Matthews

Non è un gran periodo per i Blazers (5-7 nelle ultime 12 partite giocate a cavallo tra gennaio e febbraio) e, se LaMarcus Aldridge e Damian Lillard continuano pur con una lieve flessione di rendimento in una grande stagione, Matthews non è più quello di inizio anno, soprattutto al tiro. Dalla sconfitta contro i Wizards di inizio mese, la guardia ha preso ben 136 tiri in nove partite, mettendone a segno solamente 49 (5/15 a partita di media), non contribuendo in maniera soddisfacente in nessun altro dato statistico. Ha fatto anche peggio, se possibile, da oltre l’arco, seppur di poco, con un 18/52 (34%) molto lontano dalle ottime medie tenute ad inizio anno. Dalla testa di Conference di qualche mese fa, Portland è crollata al quinto posto e deve stare attenta a non scherzare col fuoco, se non si vuole ritrovare nelle retrovie quando si decideranno i posti per i playoff.

Worst of the Rest

NOT REALLY MAGIC ON THE ROAD: Orlando ha raggiunto, con la sconfitta contro i Raptors, il record assoluto (e per niente invidiabile) di 15 sconfitte consecutive lontano dal parquet di casa. Senza il 3-26 ottenuto finora in trasferta, considerando le sole gare giocate all’Amway Center (14-15), i Magic sarebbero pienamente in corsa addirittura per i playoff. Certo, tankare è sempre una prospettiva deliziosa in vista del Draft del prossimo anno. Vincerne una ogni tanto, però, non farebbe male.



WATCH OUT, SAN ANTONIO: i sempreverdi Spurs hanno un problema. Non è il record (40-16), non è la posizione in Western Conference, secondi dietro i Thunder, ma, forse, è anche più grave in prospettiva playoff. San Antonio ha un pessimo defensive rating (111.5 punti subiti di media) contro le squadre che hanno un record superiore al 60% e sono fermi a sole due vittorie, contro le ben otto sconfitte, al loro cospetto. Attenzione a non prendere sotto gamba la cosa, o la stagione potrebbe finire troppo presto.

via Basket Caffe

martedì 25 febbraio 2014

SASSARI, ERA ORA!!

Finalmente anche Sassari può festeggiare. La Coppa Italia 2014 infatti vede trionfare la squadra sarda che così può mettere il primo trofeo nella sua bacheca bacheca che, fino a questo momento, era praticamente spoglia e in cui facevano capolino solamente 3 coppe disciplina vinte tra Legadue e Serie A. La Dinamo, fondata nel 1960, ha dunque dovuto aspettare 54 anni prima di conquistare un titolo nazionale e, speriamo, possa essere solo il primo trofeo di una lunga serie. 

  
La Beko Final Eight 2014 non vedeva certo Sassari tra le favorite, dal momento che si presentava al sesto posto in griglia, ma sin dalla prima partita contro Milano si è candidata per il titolo. Infatti nello scontro diretto contro i padroni di casa la Dinamo si è imposta per 80 – 82, trascinata dai 24 punti di Drake Diener e facendo esplodere la rabbia degli ultras milanesi che hanno dichiarato prima lo sciopero del tifo e poi hanno bloccato gli allenamenti della squadra la settimana successiva. A questo punto lo scoglio più grande sembra superato anche se Sassari quest’anno è incappata in sconfitte che alla vigilia nessuno avrebbe pronosticato e allora la partita contro Reggio Emilia non è da prendere sottogamba, anche perché la Grissin Bon ha battuto niente meno che Cantù. Il match si risolve a favore del Banco 86 – 92 e la parte del leone tocca farla a Travis Diener, che ne infila 26, nonostante la coppia reggiana White – Kaukenas ne combini insieme 51. A questo punto sognare non costa davvero nulla, nonostante in finale ci si trovi davanti ai vincitori delle ultime 5 edizioni. Certo, la Mens Sana non è più lo squadrone delle precedenti stagioni e in più dalla cessione di Hackett ha perso molto del potenziale su cui la squadra si fondava, ma coach Crespi è settimane che lavora per trovare i nuovi equilibri e le convincenti vittorie su Roma e Brindisi ne fanno un cliente scomodo per tutti. La partita è giocata su ritmi molto elevati e vede Sassari portarsi subito in vantaggio e dare lo strappo decisivo già a metà gara (28 – 45). Il secondo tempo vede Siena riavvicinarsi più di una volta ma non riuscire mai a colmare il gap con il Banco che così, al quarantesimo, può alzare le braccia al cielo. Caleb Green e, naturalmente, i cugini Diener sono gli aghi delle bilancia della partita ma la vittoria, e non è retorica, è di squadra.
È sicuramente la vittoria di Meo Sacchetti, sulla panchina sarda dal 2009, anno in cui è subentrato a Demis Cavina e ha portato la Dinamo alla promozione in Serie A. Coach Sacchetti in tutti questi anni ha dimostrato di essere un allenatore particolarmente preparato; la sua squadra infatti è sempre migliorata centrando i play-off sin dalla prima stagione nella massima serie. La colpa più grande imputata all’allenatore di Altamura è quella di far arrivare la squadra troppo stanca alla fine della regular season e così si giustificano le sconfitte abbastanza nette ai play-off, per ultima quella della scorsa stagione contro Cantù. Starà a Sacchetti smentire questo trend negativo, per di più con la Coppa Italia in tasca.
È poi la vittoria dei cuginetti Diener, in Sardegna ormai da anni, che per la Dinamo non si sono mai tirati indietro. Travis, un po’ sottotono quest’anno, ha dimostrato in questa competizione di essere un play di livello che non a caso per 4 stagioni ha giocato in NBA, mentre Drake, convinto dal cugino a giocare a Sassari dopo che il suo arrivo a Varese veniva dato già come scontato, ha sbagliato in questi due anni e mezzo pochissime partite ed è uno tra i giocatori del campionato che può cambiare il corso della partita, probabilmente il più talentuoso e quello con la mano più calda. I ragazzi di Fond du Lac hanno fatto le fortune del Banco in queste stagioni e sicuramente il loro affiatamento è risultato decisivo anche perché il loro contributo realizzativo risulta essere sempre particolarmente elevato. In realtà è Drake quello che fino a questo momento ha dimostrato di avere le carte migliori anche se a livello di College e di basket professionistico non ha avuto grandi possibilità di sfondare visto il morbo di Crohn che lo ha tenuto fermo dopo il quadriennio a De Paul e il successivo arrivo in Italia in Legadue, a Castelletto Ticino. Chissà quale sarà il futuro dei due cugini, se a Sassari considereranno concluso il loro lavoro o se vorranno rimanere in Sardegna per cercare di conquistare altri titoli. 


È la vittoria di Giacomo Devecchi e di Manuel Vanuzzo, alla Dinamo dalla stagione 2006-2007, ragazzi che che hanno coronato le loro fatiche con questa vittoria. Una menzione particolare va all’ala veneziana, capitano dal 2007 di questa squadra che, a quasi 39 anni, corona una carriera che lo ha visto spesso ricominciare dalla Legadue ma che lo ha visto anche protagonista con la maglia della Nazionale.
È la vittoria di Omar Thomas e Caleb Green, le due ali americane arrivate quest’anno alla corte di Sacchetti. Entrambi nati nell’85, sono potenzialmente due forze della natura viste le loro caratteristiche fisiche che li rendono i padroni dell’area sia palla in mano che in fase di rimbalzo.
È la vittoria di Amedeo Tessitori e di Massimo Chessa, due ragazzi che di solito non trovano molto spazio sul parquet ma che quando sono chiamati in causa si sono sempre fatti trovare pronti. In particolare è il caso di Tessitori, ala pisana di 208 centimetri che a 18 anni ha dimostrato di avere una certa personalità in campo senza farsi prendere dal panico davanti a giocatori più esperti. Tessitori è un ragazzo di grande prospettiva che ha già indossato la maglia delle rappresentative nazionali giovanili e che ha ben figurato insieme al giovanissimo play Federico Mussini di Reggio Emilia, classe ’96 e con tanta tanta tanta energia e voglia di emergere.
È la vittoria di Marques Green, che dopo una stagione difficile come quella passata ha ritrovato minuti, gioco e punti in una squadra che ha saputo dargli la fiducia di cui necessitava e che sembrava aver perso a Milano. Se Travis Diener non è in giornata (ed è successo) ci pensa il piccolo Marques a dare qualità all’attacco biancoblu e le sue partenze nel quintetto titolare dimostrano che il suo impegno in palestra sta dando buoni frutti.
È la vittoria di Brian Sacchetti, additato spesso come un “figlio di papà” ma che dimostra di meritare i minuti che il papà-coach gli concede. Si è messo in luce durante la finale soprattutto in fase difensiva ed effettivamente la sua esperienza nelle nazionali giovanili indica che Brian è un giocatore di qualità. E se Sacchetti senior ha deciso di puntare su di lui nonostante tutti i problemi che possono crearsi in uno spogliatoio per una situazione particolare come questa vuol dire veramente che Brian è tutt’altro che un raccomandato.
È la vittoria di Drew Gordon, ala-centro ritornato a stagione in corso dopo le poche partite disputate l’anno scorso. Nonostante la condizione non fosse quella migliore Drew ha fatto capire quale sia la sua caratura. Un lungo completo, uno di quelli che nel pitturato fanno la differenza. E se la sua strapotenza fisica sarà ben sfruttata nel modo migliore dai suoi compagni di squadra…
È la vittoria del presidente Stefano Sardara, sempre pronto a difendere la squadra e a metterci la faccia quando le cose (molto raramente) non vanno bene, pronto a richiamare i giocatori dopo qualche sconfitta di troppo. Un uomo di sport che ha investito molto in questa società e a cui bisogna fare i complimenti insieme a tutto il resto dell’organigramma societario che ha sempre creduto nel progetto Dinamo.


È infine la vittoria dei tifosi. Perché, come capita per molte società, il pubblico è davvero un fattore determinante. I tifosi meritano questa vittoria tanto quanto i giocatori visto il sostegno che non è mai venuto a mancare e, credo, l’atmosfera che intorno al Palaserradimigni si è creata sia di quelle che fanno bene allo sport.

Il fatto che Sassari abbia vinto la Coppa Italia può fare bene al movimento cestistico italiano, che ha visto dopo parecchio tempo Siena perdere un titolo e Milano, favorita alla vigilia, non afferrarlo (e crediamo che a fine stagione giocherà i play-off col coltello tra i denti). E dunque brava Sassari, te la sei meritata questa coppa, per la tua storia non solo un titolo ma il primo trofeo che già richiede compagnia perché di spazio da riempire la bacheca ne ha ancora molto.

lunedì 24 febbraio 2014

(TOP) & FLOP DELLA STAGIONE NFL : DETROIT LIONS


Che i Lions fossero una delle franchigie più disgraziate della Lega era un dato assodato, confermato dall'essere una delle sole due squadre storiche a non aver mai raggiunto il Super Bowl, insieme ai Browns, e a vari ed eventuali incidenti di percorso durante la loro storia, con il culmine dell'unico 0-16 di sempre nel 2008. Che i Lions riuscissero a buttare al vento anche l'ottima prima parte di questa stagione, quando mancava poco più di un passo per volare ai playoff, era un altro paio di maniche.

Giunti alla bye week con uno score di cinque vittorie e tre sconfitte, già allora si potevano trarre le prime conclusioni, che sembravano, però, poter essere più positive che di nefasti presagi. Superati solo dall'arcigna difesa dei Cardinals, da una prestazione offensiva non all'altezza contro i Packers e da un field goal di Mike Nugent a pochi secondi dalla fine contro i Bengals, Detroit, per il resto, aveva poco da rimproverarsi. Le vittorie contro Bears, prima di allora imbattuti, e Cowboys, con una rimonta straordinaria negli ultimi minuti di partita, mettevano la ciliegina sulla torta ad un ottimo inizio, segnato dalle affermazioni su Vikings, Redksins e Browns. I playoff, visti i risultati alterni di Packers (5-3) e Bears (5-3) in NFC North, erano assolutamente alla portata.

I migliori segnali erano giunti dall'attacco, devastante ed esplosivo per lunghi tratti, comandato egregiamente da un Matthew Stafford in crescita esponenziale (2.617 yard al lancio con 16 TD pass e soli 6 INT) e dalle grandi prestazioni anche sotto pressione, da leader di squadra, come quella contro Dallas. Calvin Johnson (821 yard su ricezione e 7 touchdown) aveva steccato le uscite contro Minnesota e Cleveland, ma nelle restanti partite aveva sorpreso ancora una volta tutti con la sua straordinaria potenza ed efficacia. Meravigliose le segnature contro Arizona, per corsa e potenza, contro Cincinnati, perché marcato strettissimo e magico nelle ricezioni in end zone anche sotto una tripla copertura, e la prestazione contro Dallas (14 ricezioni per 329 yard con 23.5 di media). Reggie Bush aveva dominato la scena nei momenti bui di Megatron, demolendo le difese di Vikings, Bears e Browns (307 yard su corsa e 1 touchdown oltre a 192 su ricezione e 2 touchdown), mentre Nate Burlenson e Joique Bell erano risultati due sparring partners più che all'altezza.


Anche la difesa, però, sembrava all'altezza della situazione, guidata da un DeAndre Levy in splendida forma. E il meglio per Detroit sembrava solo dover arrivare, dopo la vittoria contro i Bears, al ritorno dalla settimana di riposo, che portava gli uomini di Motown dritti in testa alla loro Division, con il vantaggio ormai acquisito negli scontri diretti contro Chicago e Green Bay in tremenda difficoltà dato l'infortunio occorso ad Aaron Rodgers, che lo avrebbe tenuto fermo per diverse settimane. I due touchdown di Megatron e le oltre 100 yard su corsa di Bush, oltre al quinto intercetto di Levy in stagione e al sack numero 4.5 di un Ndamukong Suh tornato su ottimi livelli, sembravano far presagire ad un'esaltante qualificazione alla post-season.

Per spiegare cosa sono stati in grado di gettare al vento questi Lions basta un semplicissimo dato: con la vittoria sui Bears il loro record sale a 6-3 e, a fine stagione, i Packers si qualificheranno ai playoff con il modico score di 8-7-1. Sarebbero bastate tre vittorie nelle ultime sette partite giocate, per altro giocate contro avversari in crisi quest'anno come Giants, Ravens e Steelers oppure non propriamente impossibili come Vikings e Buccaneers. Detroit sfodera l'unica prestazione degna di nota contro i Packers nel Thanksgiving Day, infliggendo ben 30 punti di distacco ad una squadra distrutta dall'assenza di Rodgers. Per il resto solo sconfitte e, non può essere altrimenti, un altro treno per qualcosa di grande è stato visto passare, senza sostare, a Motown.

I progressi di Stafford, il suo processo di crescita in atto e il resto sono andati a farsi benedire. Le yard guadagnate al lancio scendono a poco più di 2.000 da oltre 2.600 che erano state nella prima metà di stagione, i passaggi da touchdown diventano 13, di cui solamente due nelle ultime quattro partite giocate, e gli intercetti salgono clamorosamente anch'essi a 13, senza più nemmeno i due touchdown su corsa ottenuti nelle prime otto gare disputate. Basterebbe, forse, citare il passaggio del suo QB rating da un ottimo 94.7 di media a un ben più riduttivo 72.5 passando da prima a dopo la bye week. Una bella differenza.


Non è solo colpa di Stafford, intendiamoci. Johnson chiuderà la stagione con 84 ricezioni su 156 palloni lanciati verso di lui. Spesso si è cercato Megatron anche in situazioni praticamente impossibili e si provava a trovarlo in ogni momento di disperazione, quindi un minimo margine bisogna pur concederlo, ma questo non giustifica il misero 53% di prese effettive. Alla fine le sue yard guadagnate saranno 1.492, un bel passo indietro rispetto al record assoluto dello scorso anno (1.964), con 12 TDs, di cui solo uno nelle ultime cinque partite giocate. Fortuna che, alle sue spalle, Bell si è scoperto receiver e non solamente ottimo runningback. Spaventoso il suo 53/68 tra palloni ricevuti e lanciati verso di lui, con 547 yard (10.3 di media) guadagnate anche se, purtroppo, senza mai entrare in end zone su lancio, pur consolandosi con gli otto touchdown messi a segno palla alla mano. Poco è arrivato dagli altri ricevitori, se non un grande Fauria da 7 touchdown su 18 ricezioni messe a segno. Bush ha superato quota 1.000 yard su corsa, ma ha portato solo quattro segnature alla causa e non ha ripetuto in nessun altro match l'exploit dell'esordio (101 yard) in termini di guadagno sulle ricezioni.

La difesa non ha avuto un calo così drastico nella seconda metà di stagione, anzi è migliorata a livello di punti subiti (24.7 nelle prime otto gare, 22.4 nelle restanti). I singoli sono forse calati, Levy su tutti. Per lui cinque intercetti fino alla gara contro i Bears, solo uno dopo, per altro nell'unica vinta contro i Packers, e anche un calo di quasi un tackle a partita dalla vittoria su Chicago in avanti. Leader nella statistica è stato Stephen Tullock (135), che ha aggiunto 3.5 sack e 1 INT, mentre il rookie Ezekiel Ansah, la nota più positiva, è stato il migliori in termini di interventi sul quarterback avversario (8 sack per 72 yard perse dagli avversari, oltre a due fumble forzati). La retroguardia ha peccato di certo nei finali di partita, soprattutto contro Ravens e Giants, due sconfitte evitabilissime per i Lions e che sono costate loro i playoff, e nel difendere sui lanci avvesari (246.9 yard concesse di media, 23° dato complessivo).

Cosa manca dunque a Detroit per essere tra le protagoniste l'anno prossimo? Sicuramente Jim Schwartz si è meritato l'esonero dal ruolo di head coach a fine stagione ed è stato sostituito da Jim Caldwell. Vedremo se l'ex allenatore dell'attacco dei Ravens sarà in grado di dare certezze e nuova linfa ad un gruppo ricco di talento e ottimi giocatori. Dal Draft servirà assolutamente trovare una seconda opzione di livello nel ruolo di wide receiver, perché il solo Johnson non può portare avanti da solo tutto il peso dell'attacco, sempre auspicando che Stafford riprenda ad essere il fantastico quarterback visto nelle prime gare della scorsa stagione. Anche la difesa deve essere puntellata per rendere al massimo, specialmente per quanto riguarda la posizione di cornerback. Servirebbe anche un innesto come outside linebacker, anche se tutto dipenderà dalle scelte dalle scelte difensive del nuovo coach.



Alla vigilia della scorsa stagione i Lions erano auspicati ad avere il secondo peggior calendario possibile per la loro regular season, ma si è rivelato in realtà essere il 29° complessivo alla fine, dati i reali valori visti in campo nel corso delle 16 partite. Il dato fa capire, ancora una volta, come gli uomini di Motown abbiano buttato davvero una grande occasione. Il prossimo anno Detroit affronterà le squadre della AFC East e dell'NFC South, oltre ai rivali divisionali e a Giants e Cardinals. C'è tutto per far bene, servirà solo lottare fino alla fine. E vincere, se possibile. 

mercoledì 19 febbraio 2014

TOP & WORST NBA - SPECIALE ALL-STAR GAME

Best of the Weekend

All-Star Game: Kevin Durant


Se questa partita l'avesse vinta l'Ovest, per la corsa all'MVP, salvo qualche insidia dal sempre devastante Blake Griffin (38 punti con 19/23 al tiro, ma più della metà sono schiacciate date dalla difesa praticamente nulla), non ci sarebbe stata storia. Onore a Kyrie Irving (31 punti con 14/17 e 14 assist), che ha lanciato la rimonta vincente dell'Est, ma KD sembra davvero provenire da un altro pianeta. Se a Griffin ha dato buon gioco il contesto, mentre il play dei Cavs è stato un po' in ombra durante la partita perché più concreto che spettacolare, Durant ne ha fatte davvero di ogni. Pur non tirando benissimo per una partita di All Star Game (14/27 con 6/17 da tre punti), ha segnato 38 punti, quattro solamente sotto il record di Wilt Chamberlain del 1962, che a lungo è sembrato poter crollare, raccolto 10 rimbalzi e spartito 6 assist, con una sola palla persa. E si è anche regalato una giocata da copertina su assist di Steph Curry direttamente dalla rimessa laterale. In quasi 35 minuti di impiego ha messo per larghi tratti anche una discreta intensità, giocandonsela come una partita di regular season, e lasciando il trofeo di miglior giocatore solo a causa della sconfitta della sua squadra. Durant ha dimostrato ancora una volta di essere, al momento, il miglior giocatore in questa Lega. O, per lo meno, quello che ha più fame e voglia di vincere.

All Stars Saturday Night: Marco Belinelli


Se le emozioni allo Slam Dunk Contest, come di consueto negli ultimi anni, sono decisamente mancate, altrettanto non si può dire per il Three Point Shootout. E il nostro Marco Belinelli ha mostrato al mondo tutte le sue qualità. Vittorioso nel turno eliminatorio su un Kevin Love spentosi con l'andare della sua gara, su un Damian Lillard visibilmente stancato dai molteplici impegni del suo weekend (ha partecipato a ogni gara di questo All Star Game!) e su un freddo Steph Curry nel suo carrello finale, l'italiano ha segnato gli ultimi tre tiri, per altro tutte money ball, per aggiudicarsi la finale con il punteggio di 19. Tutto ciò che la fortuna gli aveva regalato nella prima parte, gli viene poi tolto nella seconda. Marco fa ancora 19, sempre con un'ottima prestazione nell'ultimo carrello di money ball, ma dall'altra parte c'è Bradley Beal, che in eliminatoria ha fatto 21. Incredibilmente, però, il giocatore dei Wizards arriva alle ultime cinque palle con un misero 13, con la possibilità solamente di pareggiare se le mette tutte a segno. Ed è proprio quello che succede, per la disperazione dei tifosi italiani restati svegli nella notte di sabato. Ci vorrà un turno supplementare. Belinelli, però, regala una grande gioia ai suoi connazionali. Arrivano 4 punti al primo carrello, 5 nel secondo, 3 nel terzo e 6 negli ultimi due, per un totale di 24. Beal fa 18 e il giocatore degli Spurs può, finalmente, festeggiare. Non c'è molto altro da aggiungere, se non: grazie Marco!

Rising Star Challenge: Tim Hardaway Jr vs Dion Waiters

In una partita di rara bruttezza come quella di venerdì nel Rising Star Challenge, le migliori emozioni arrivano da una sfida faccia a faccia tra la guardia dei Knicks e quella dei Cavs. Entrambi cominciano la loro gara con una schiacciata spettacolare e proseguono mostrando tutte le loro qualità, tanto in elevazione quanto da oltre l'arco. Hardaway si scalda da fuori e Waiters gli risponde con un jumper in faccia. Il primo va in penetrazione per il canestro in appoggio al tabellone e il secondo gli risponde facendo lo stesso. Waiters spara una tripla da molto fuori l'arco e Hardaway non si fa pregare, segnando direttamente da casa sua. Waiters ne mette altri tre e indovinate Hardaway? Esatto, altra tripla a segno. Passano un paio di azioni e ancora il figlio d'arte mette una bomba, seguito dal giocatore di Cleveland in jumper. Un altro paio di botta e risposta portano Waiters alla soglia dei 31 punti, con 10/14 al tiro e 4/6 da tre punti, mentre Hardaway sale addirittura a 36 punti, ma con molti più errori (7/16 da oltre l'arco). Entrambi finiscono come migliori realizzatori, da una parte e dall'altra, e salvano lo spettacolo di un match mai davvero combattuto. Chi sia il vincitore, però, è davvero difficile stabilirlo.


Worst of the Weekend

All-Star Game: Joe Johnson

Non tanto e non solamente per questa partita, quanto per l'intero weekend del giocatore dei Nets. Partecipare al Three Point Shootout e arrivare al termine del minuto di tempo tirando un solo pallone nell'ultimo carrello, per altro con un misero punteggio di 11 racimolato nel complessivo, con due palloni segnati nei primi dieci, pur andando con il freno a mano davvero troppo tirato, significa che, sicuramente, non è la gara più adatta a te. A Johnson non sembra importare più di tanto mentre torna a sedersi in panchina e, se forse non gliene possiamo fare una colpa, almeno possiamo dire che non è una bella immagine per tutti gli spettatori, considerando l'impegno assoluto del nostro Belinelli o la gioia di Beal per essere arrivato in finale, festeggiato anche dal rapper Nelly. Ugualmente, nella partita delle stelle Johnson non combina niente di buono, sparacchiando (2/7 con 1/6 da tre punti) per 5 punti, senza altre statistiche di rilievo e, soprattutto, senza alcuna giocata per onorare l'impegno. Che dire? In certi casi, forse, sarebbe meglio restarsene a casa.

All Star Saturday Night: Slam Dunk Contest


Rivedere su YouTube le schiacciate paurose ed elettrizzanti del migliore di sempre nella disciplina, Vince Carter, in uno Slam Dunk Contest come quello del 2000 fa capire come il livello della gara da allora sia crollato sotto terra. Il nuovo formato, con una prima parte di freestyle, seguita da sfide uno contro uno, che porta a vincere il titolo praticamente con una sola schiacciata, sembra quasi un insulto alle emozioni che la gara delle schiacciate ha sempre regalato nel corso degli anni. Damian Lillard riesce a non ricevere nemmeno un applauso dal pubblico, Terrence Ross e Paul George sembrano aver mostrato di meglio durante le partite di regular season ed erano attesi ad una prestazione assai più spettacolare ed Harrison Barnes, pur con una buona idea come quella di abbinare il videogioco NBA 2K14 alla sua schiacciata, raffredda gli spettatori con qualcosa di più che ordinario. Ringraziamo almeno Ben McLemore per il salto sopra il trono su cui siede un sempre fantastico Shaq, con relativa incoronazione successiva alla prestazione, e, soprattutto, un grandissimo John Wall. Il giocatore dei Wizards, dapprima si ricorda del particolare di essere in uno stadio e cerca il consenso e il supporto del pubblico, poi mette a segno una splendida reverse slam saltando sopra la mascotte di Washington, con cui poi si lancia in un ballo di festeggiamento per la meritatissima vittoria. Chapeau, almeno per lui.


Rising Star Challenge: Troy Burke & The Contest


Non è la prima e non è l'unica delusione della gara tra i novizi della Lega, tra le meno spettacolari non solo del weekend, ma anche degli ultimi anni all'All Star Game, ma se non altro gli altri, qualcosa di per lo meno decente, l'hanno dimostrato. In una squadra come questo Team Webber, che tira con un terribile 12/42 da tre punti, di cui sette triple messe a segno dal solo Tim Hardaway Jr, il giocatore dei Jazz si regala un "fantastico" 0/7 da oltre l'arco, che completa un 3/12 davvero inguardabile a giudicare il fatto che le difese, in questo match, non sono proprio esistite. In generale, se nei due anni passati era stato il personaggio istrionico di Shaq opposto a quello altrettanto su di giri di Charles Barkley nella scelta delle squadre ad alzare il livello delle emozioni della partita del venerdì, quest'anno Grant Hill e Chris Webber non sono stati altrettanto esaltanti. Le migliori giocate sono arrivate dai fratelli Plumlee e dai due sopra citati nel Best of the Weekend, che si sono dati battaglia, dando buon gioco ad Andre Drummond (MVP con 30 punti e 25 rimbalzi) per aggiudicarsi il titolo di miglior giocatore della partita. Non proprio qualcosa di cui andare così fiero, però.

via Basket Caffe

lunedì 17 febbraio 2014

NEW ENGLAND PATRIOTS: TRA PRESENTE E FUTURO



Il conto con il destino per i New England Patriots è totalmente aperto.

In passato, le squadre fisiche e toste in difesa sono sempre state l’antidoto al sofisticato attacco di Tom Brady e compagni, domenica però abbiamo assistito ad un copione differente. Prima del Championship contro i Denver Broncos, sembrava che i Patriots fossero riusciti a trovare un attacco bilanciato che avrebbe potuto permettergli di superare la difesa avversaria in molti modi, alternando corse potenti e lanci. Il giorno della partita invece, abbiamo visto come i loro sforzi per muovere la catena siano stati completamente annientati dalla difesa dei Broncos. 



E’ doveroso ricordare come i Patriots non fossero certo i favoriti e che, di fronte, si trovavano un team con un attacco aereo stellare e un gioco di corse brutale. Per riuscire a superare una squadra di questo tipo, l’attacco dei Pats avrebbe dovuto girare a pieno ritmo, invece è sembrato un vecchio motore sbuffante. Ma siamo sicuri che avrebbe potuto davvero riuscire in questa impresa?

La crisi dell’attacco grigio-blu è iniziata ancora prima del kickoff di inizio stagione. Il temutissimo set con due tight end è stato sconvolto dall’arresto di Aaron Hernandez e dall’infortunio di Rob Gronkowski. Il running back Shane Vereen, che avrebbe dovuto avere un ruolo a tutto tondo, si è infortunato e non è ritornato prima del week 12. L’acquisto migliore dell’offseason, Danny Amendola, si è fatto male immediatamente e ha reso ben al di sotto delle aspettative. A stagione in corso si è rotto la gamba il tackle destro Sebastian Vollmer. Senza contare gli infortuni ai pilastri della difesa, Vince Wilfork e Jerod Mayo.

Qualunque squadra sarebbe caduta nel baratro, ma i Patriots sono stati in grado di reimpostare il GPS e trovare una nuova strada, tramite una serie di accorgimenti di volta in volta differenti. Julian Edelman è stato eccellente nel rimpiazzare Wes Welker ed è diventato solo il terzo giocatore nella storia della franchigia con più di 100 prese. LeGarette Blount ha realizzato il record di squadra di 4 touchdown su corsa in una partita e di 334 yard totali guadagnate in un’altra.

A fine anno, il reparto coordinato da Josh McDaniels è  risultato terzo in punti segnati e settimo in yard totali, ma i Patriots non hanno mai avuto una vera identità offensiva. La mancanza di soluzioni si è vista contro i Broncos, dove l’attacco non è mai riuscito ad essere pericoloso. Blount ha raccolto la miseria di 6 yard su cinque portate e il running game ha guadagnato solo 64 yard. La linea ha ceduto proprio nei momenti decisivi, concedendo due sack in  situazioni di terzo e quarto down. Non si può nemmeno incolpare Tom Brady, il quale ha certamente sbagliato dei lanci profondi (solo 1 su 5 da più di 20 yard) che avrebbero potuto cambiare radicalmente la gara, ma che si trovava a lanciare ad Austin Collie, tagliato e ripreso tre volte in stagione, Matthew Mulligan e Michael Hoomanawanui, non propriamente dei fenomeni per usare un eufemismo. 



La risposta alla domanda che ci siamo fatti ad inizio articolo è che Brady e i suoi non avrebbero potuto fare molto di più di quello che hanno fatto. Guardando al futuro, la vera domanda diventa un’altra: i Patriots riusciranno a tornare ad essere una macchina da punti che faccia tremare tutte le difese?

La squadra va rinforzata nelle skill positions. Bisogna inserire un talentuoso ricevitore che possa cambiare le partite e che sia sempre costante, a prescindere dalla rifirma di Julian Edelman e dalla crescita di Aaron Dobson e Kenbrall Thompkins. Andrebbe assolutamente rifirmato Blount, poiché con Steven Ridley e Shane Vereen rappresenta un terzetto di running back poliedrico e capace di adattarsi alle debolezze delle squadre avversarie. La linea ha bisogno di qualche rinforzo di peso per solidificarsi, soprattutto interiormente. Ma il vero turning point per tornare a dominare rimane l’uomo su cui l’attacco di Brady si basa: Rob Gronkowski.

L’impatto che il numero 87 ha in campo è devastante. Tatticamente è il giocatore più pericoloso e su cui gli avversari si focalizzano maggiormente, raddoppiandolo o addirittura triplicandolo, il che apre più spazi per gli altri ricevitori. Tecnicamente è una macchina da prese e ha un corpo che gli permette di trascinare letteralmente gli avversari per guadagni aggiuntivi. Le statistiche recitano che, con lui in campo, i Pats segnano 32 punti di media (contro i 24 senza), guadagnano 417.7 yard di media (contro 358.2) e convertono il 68.8% dei viaggi in red zone (contro il 43.3% senza), numeri impressionanti e che aiutano a far capire quanto sia fondamentale.   



Gronk dovrebbe essere recuperato in tempo per l’inizio della stagione, ma i Patriots devono costruire un piano di riserva data la facilità a cui è soggetto nel subire infortuni. La soluzione ideale è quella di scegliere un tight end al draft. Si potrebbe riproporre un pericoloso “two tight end set” e, nel caso più sfortunato, si avrebbe una valida alternativa a Gronk. Sia Jace Amaro che Austin Seferian-Jenkins sono due prospetti intriganti con un gran fisico, agilità e buone mani e rappresenterebbe delle soluzioni altamente interessanti.

Tom Brady ha ancora la voglia di raggiungere un Super Bowl e vincerlo, ha le capacità per farlo, ma deve essere aiutato da tutti i suoi compagni e dall’organizzazione per potere partecipare ancora una volta al grande ballo, se lo merita per tutto quello che ha dato ai Patriots e, inoltre, è il primo a voler regolare quel conto col destino.

See you next year Tom!

mercoledì 12 febbraio 2014

TOP & WORST NBA - EPISODE 15 (04/02 - 10/02)

Best of the East

Best Team: Orlando Magic


Che settimana questa per i Magic. Già fuori da qualsiasi discorso per i playoff (terz’ultimi a Est con il terribile score di 16-37), Orlando si regala sette giorni come ai vecchi tempi, come era stato fino a un paio di stagioni fa. Se gennaio era cominciato con 9 sconfitte di fila ed era finito in maniera tragica (3-14), ecco che febbraio, dopo le due sconfitte contro Celtics e Pacers, regala un trittico di vittorie da urlo. Prima il netto +14 inflitto ai Pistons, poi la schiacciata tanto meravigliosa quanto efficace di Tobias Harris allo scadere che permette la vittoria sui fortissimi Thunder di questo inizio 2014 ed infine Victor Oladipo segna 12 dei suoi 23 punti nell’ultimo quarto contro i Pacers, mettendoli alla corda per il 93-92 finale per i padroni di casa. Fanno cinque successi consecutivi all’Amway Center, fanno due magiche affermazioni contro le prime due franchigie dell’intera Lega, tanto a Est quanto a Ovest. Fanno soprattutto morale e gioia per i tifosi, anche in una stagione come questa.

Best Player: Jared Sullinger

Dopo le pessime prestazioni da qualche settimana fa in avanti, ecco che Sullinger è tornato a far bene, pur in una squadra in completa ricostruzione come i Celtics. Boston ha vinto tre delle ultime quattro partite, lasciando la vittoria solo agli scatenati Mavs nella penultima uscita, e, nella striscia vincente, il centro ha messo a segno 23.7 punti di media (10 in più rispetto alla sua media complessiva finora) e raccolto 12.7 rimbalzi, oltre a permettersi 5 assist e 4 stoppate nella gara contro i Sixers. Insomma, una settimana da incorniciare per Sullinger e Boston (19-34) ha racimolato qualche successo, utile giusto a rendere meno pesante un record che è di gran lunga peggiore rispetto a quello di ogni altra stagione dell’ultimo decennio. Ricostruzione è da sempre sinonimo di difficoltà, fatica e tanto tanto lavoro. Se però alla base si può mettere un Sullinger così, tutto potrà essere più facile.

Best of the West

Best Team: Houston Rockets

I Rockets hanno acceso i motori. E questa volta per davvero. Sale a cinque la striscia di vittorie consecutive a cavallo tra gennaio e febbraio, con successi di prestigio come quelli su Spurs e Mavericks, affermazioni per tenere a bada le pretese della vera sorpresa di quest’anno, i Suns, e facili successi su compagini nettamente inferiori come Cavs e Bucks. Houston non sta più sbagliando un colpo e il record non può che giovarne (34-17) così come la posizione in graduatoria, che li vede al momento quinti, con tre gare di vantaggio sulle inseguitrici e alla caccia di San Antonio, il cui rendimento è leggermente calato ultimamente. Se il fattore H-H continua a funzionare alla grande, con James Harden sempre più all-around player (23.7 punti, 5.3 assist, 4.7 rimbalzi e 1.3 rubate a partita) e Dwight Howard tornato un fattore sotto canestro e difensivamente (18.8 punti, 12.4 rimbalzi e 1.76 stoppate), è Chandler Parsons (17 punti e 5.5 rimbalzi a partita) la conferma che spinge questi Rockets sempre più in alto. Chissà fino a dove.

Best Player: Dirk Nowitzki


Wunder Dirk è tornato. E non ha nessuna intenzione di mollare il treno per i playoff. Le cinque vittorie consecutive di Dallas, arrivate contro Kings, Cavs, Grizzlies, Jazz e Celtics hanno ben impressa la firma del tedesco. 24.6 punti con il 57% complessivo al tiro e quasi il 54% da tre punti, oltre a 5.4 rimbalzi. Nel frattempo Nowitzki si è confermato nell’elite dei migliori giocatori di tutti i tempi, salendo a quota 26.145 punti segnati e raggiungendo il tredicesimo posto, a meno di 600 punti dalla Top 10 assoluta di sempre. I Mavericks sono tornati nelle magnifiche otto a Ovest (31-21), prendendosi anche una vittoria di margine sull’ottavo posto utile, occupato ora dai Warriors. Quanto è pesata l’assenza di Wunder Dirk la scorsa stagione a Dallas se lo ricordano bene tutti, con la squadra texana a rincorrere fino alla fine i playoff, che alla fine non arrivarono. Quest’anno, con Nowitzki tornato nel pieno della forma e delle forze, ci sono anche loro.

Best of the Rest

LA RIPRESA DELLA EASTERN CONFERENCE: quasi ci siamo. Finalmente la Eastern Conference esce dal tunnel e torna ad essere per lo meno teatro di battaglia e non solo di disgrazia. Per la prima volta da inizio stagione ci sono sei team appaiati o oltre la soglia del 50% di vittorie e i Nets (23-26) possono aspirare a raggiungere presto il traguardo. Resta incredibile come i Bobcats possano ad oggi essere in post-season con un record di 22-29. Non si può avere tutto e subito, però.


DRAGIC AGAIN ON TOP: dopo le bellissime prestazioni della scorsa settimana, la guardia slovena si è ripetuta ancora negli ultimi sette giorni, con tre performance da incorniciare. 24 punti con 9/15 al tiro e 7 rimbalzi contro i Bulls, 23 con 6 rimbalzi e 7 assist contro i Rockets ed infine 34 con 10/13 dal campo e 6/7 da tre punti, a cui aggiungere 10 assist, nella vittoria sui Warriors. Dragic è sempre più una realtà, fantastica, di questa Lega.

Worst of the East

Worst Team: Atlanta Hawks

Il bel periodo di Atlanta ha visto la sua fine durante questa settimana davvero nera per gli Hawks. Tre sconfitte di fila contro Pacers, Grizzlies e Pelicans. Se nelle prime due partite il vero problema è stato l’attacco (solo 80.5 punti segnati), contro New Orleans è stata la difesa (105 punti subiti) a dover soccombere di fronte agli attacchi Anthony Davis e compagni. Ora il record è a rischio caduta a picco sotto il 50% (25-24) e Atlanta potrebbe veder sfumare tutti gli sforzi per mantenere un posto di rilievo in Eastern Conference, visto che Wizards, Bulls e Nets sembrano poter arrivare di gran carriera verso il quarto posto ad oggi occupato dagli Hawks, già scavalcati dai Raptors di recente. Assolutamente da migliorare il record divisionale (6-5, con solo Miami e Washington di davvero temibile), ma soprattutto in trasferta (9-15), per fermare l’emorragia di sconfitte. Falco avvisato, mezzo salvato.

Worst Player: Michael Carter-Williams

Quella che era stata la sorpresa più grande di inizio anno e, forse ancor oggi, il miglior giocatore tra i rookie usciti dallo scorso Draft, è in un momento di calo evidente. Mai oltre il 50% al tiro nelle ultime dieci uscite, solo una volta oltre il 40% nello stesso periodo, nelle ultime quattro partite, in cui i Sixers hanno raccolto altrettante sconfitte, MCW ha preso 63 conclusioni, mettendone a segno 20, con 4/16 da oltre l’arco. I rimbalzi (4.5 di media) e gli assist (5.5 a partita) in queste ultime uscite sono stati soddisfacenti, ma accompagnati da ben 5.5 palle perse di media. Philadelphia (15-37) ha perso le ultime sei partite e già da tempo ha abbandonato ogni velleità di playoff, come prevedibile, nonostante l’ottimo inizio di stagione. Carter-Williams (che sarà impegnato nel Rising Stars Challenge e nello Skills Challenge nell’All-Star Game il prossimo weekend), però, qualcosa da perdere ce l’ha e si chiama titolo di Rookie of The Year. Occhio a non farsi scappare anche quello.

Worst of the West

Worst Team: Minnesota Timberwolves


Addio playoff? Se non è certamente un dato aritmetico, sembra davvero difficile che Minnesota possa tornare in corsa per uno degli otto posti utili per i playoff. Sei gare di distanza dai Warriors, un pessimo record contro le avversarie dirette di Conference (12-20) e in trasferta (10-17) faranno probabilmente restare questi T-Wolves come la promessa incompiuta di questa stagione. Nemmeno il ritorno ai massimi livelli di un Kevin Love ancora acerbo in alcuni aspetti del suo gioco, primo tra tutti l’intensità difensiva, e una stagione in cui gli infortuni sono stati ben più clementi rispetto alle annate precedenti, hanno permesso agli uomini di Minneapolis di essere tra le elette per la post-season, almeno finora. In settimana Thunder, Pelicans e Trail Blazers hanno fatto planare il record sotto la soglia del 50% (24-27) e, forse, segnato inevitabilmente il destino dei Lupi per quest’anno. Anche se l’aritmetica ancora non li condanna e la matematica, si sa, non è un’opinione.

Worst Player: Klay Thompson

I Warriors, dopo la striscia di 10 vittorie consecutive a cavallo del nuovo anno, che aveva aperto spiragli di vertice a Ovest, hanno perso il loro slancio nelle ultime quindici gare (7-8) e sono tornati ad un record (31-21) che, in questa Western Conference, non garantisce tranquillità a cavallo tra il settimo e l’ottavo posto utile per i playoff. Colpa anche del periodo di flessione di Thompson. Se la guardia è andata tre volte oltre il 50% al tiro, per ben sei partite è stato invece sotto il 30%, andando solo per tre match oltre quei 20 punti che ad inizio stagione per lui sembravano poter essere la quotidianità. Anche in termini di rimbalzi e assistenze le statistiche latitano, ma da un attaccante del suo livello, soprattutto da oltre l’arco (38.6% nelle ultime 15, mentre ampiamente sopra il 40% nel complessivo e in carriera). Golden State è una squadra davvero di talento ed esplosiva e i playoff sembrano ormai un traguardo minimo per un roster di questo livello. Per il titolo, però, serve ancora un passo in più e i Warriors dovranno farlo in fretta.

Worst of the Rest

BIG TEAMS DIFFICULTIES: quelle che fino ad oggi sono state le squadre leader, tanto a Est (Pacers, Heat e Hawks), quanto a Ovest (Thunder, Spurs e Trail-Blazers) stanno avendo un calo, per certi versi fisiologico, per altri abbastanza preoccupante. Se OKC (8-2) e Miami (7-3) mantengono comunque un ottimo record nelle ultime dieci partite giocate, Indiana (6-4) è in calo dopo l’inizio straordinario di stagione e Hawks, Spurs e Blazers (5-5 per tutte e tre) viaggiano ultimamente sempre più a corrente alternata. La spunterà una di loro alla fine o sarà un’outsider a venir fuori nei playoff?



EAST DON’T LIKE BEING ON THE ROAD: se si escludono Pacers (15-9), Heat (15-10) e Raptors (14-14), ovvero chi comanda ad Est ad oggi, solo i Wizards (12-12) raggiungono il 50% di vittorie in trasferta. Le altre compagini, complessivamente, raccolgono 86 vittorie fuori da casa a fronte di ben 191 sconfitte. Considerando che Indiana e Miami sono ormai quasi sicure del fattore campo nel primo turno di playoff e Toronto sembra ben indirizzata a un posto tra le prime quattro, come pensano di fare le altre on the road in post-season?